23 febbraio 2022
Dal 30 al 50% circa degli adulti riferisce di aver sofferto occasionalmente di almeno un episodio di insonnia durante il corso della vita, spesso come conseguenza di eventi inaspettati o stressanti.
Il 20% degli adulti invece lamenta di soffrire cronicamente di disturbi del sonno e il problema si accentua con l’aumentare dell’età e riguarda in percentuale maggiore le donne rispetto agli uomini (il 50% contro un 30%).
Spesso purtroppo il disturbo viene agli inizi sottovalutato e trattato solo quando diventa invalidante e influisce marcatamente sulla qualità della vita: chi “dorme male, vive male”e lamenta infatti sonnolenza diurna, stanchezza, riduzione delle performance fisiche e mentali con conseguenze negative anche sul piano lavorativo.
Un buon sonno ristoratore è fondamentale per il benessere dell’organismo: le conseguenze dell’insonnia cronica si ripercuotono a livello fisico aumentando il rischio di patologie cardiovascolari, inducendo alterazioni del sistema endocrino e del metabolismo e riducendo l’efficacia della risposta immunitaria; a livello mentale porta a depressione, stati d’ansia, attacchi di panico etc.
Tuttavia l’insonnia non va considerata una malattia bensì un sintomo e andrebbero quindi per prima cosa indagate le cause scatenanti il problema.
Parliamo di insonnia primaria se è legata ad un evento specifico quale un lutto, lo stress eccessivo, il lavoro notturno, il jetlag, l’abuso di sostanze eccitanti (caffè, alcool, nicotina e altre droghe stimolanti). In questi casi eliminare la causa, associando eventualmente una terapia di supporto, conduce in breve alla risoluzione del problema.
L’insonnia si definisce invece secondaria se è la conseguenza di altra patologia quale la sindrome depressiva, le nevrosi o psicosi, tumori cerebrali, Morbo di Parkinson, epilessia, ipertiroidismo, ipertensione, sindrome delle gambe senza riposo e molte altre patologie “disturibanti” il normale ciclo sonno veglia. Si tratta in questo caso di una condizione che richiede un intervento specialistico e la cui terapia va inserita nel protocollo di cura della patologia principale.
Ma “quanto” si dovrebbe dormire?
In realtà il “quantitativo di ore di sonno” da soddisfare varia da persona a persona, si parla in media di circa 7 – 8 ore ma c’è chi ha bisogno di dormire anche 10 ore e chi invece dorme molto meno e si sente comunque riposato e pronto per affrontare una nuova giornata.
In base alla modalità con cui l’insonnia incide sul riposo notturno può essere classificata come segue:
- insonnia iniziale: caratterizzata dalla difficoltà di addormentamento
- insonnia di mantenimento: se ci sono frequenti e prolungati risvegli notturni
- insonnia tardiva: se si ha un risveglio troppo precoce al mattino
- insonnia mista: se caratterizzata da più di una delle condizioni descritte.
Qualunque sia il momento in cui l’insonnia intacca il riposo notturno l’intervento è d’obbligo prima che, come abbiamo visto, il problema arrivi a condizionare a 360° la qualità della vita di chi ne soffre.
Uno dei primi consigli da dare è quello di mantenere una buona “igiene del sonno” applicando poche semplici regole:
- alzarsi presto ed evitare o limitare il ricorso a pisolini diurni
- mantenere un buon livello di attività fisica quotidiana
- esporsi quanto più possibile alla luce naturale in modo da assecondare il ritmo circadiano (l’orologio biologico che regola le funzioni del nostro organismo)
- evitare un eccessivo uso di alcool, caffè nicotina soprattutto nelle ore serali
- evitare di svolgere dopo cena attività eccitanti come esercizio fisico pesante, riunioni o
- anche l’uso indiscriminato di apparecchiature elettroniche
- usare la camera da letto solo per dormire, evitare di leggere, guardare la TV, mangiare a letto
- se ci si sveglia e si fatica a riaddormentarsi, si può provare a cambiare stanza per prendersi una pausa, bere una tisana rilassante o un bicchiere di latte e poi provare a tornare a letto per cercare di riprendere sonno: è molto meglio evitare di rigirarsi nel letto senza sosta andando così ad alimentare l’ agitazione e il disagio.
Se tutto questo non porta nessun giovamento al problema, sentito eventualmente il parere del medico curante per escludere patologie di pertinenza specialistica, si può ricorrere, prima che ai farmaci, alla fitoterapia che ci offre una vasta possibilità di scelte terapeutiche efficaci.
La medicina tradizionale ci riporta molteplici esempi di piante utilizzate per migliorare la qualità del sonno e la moderna ricerca clinica in fitoterapia ha dimostrato la fondatezza di molte delle credenze popolari.
Vediamo quindi quali piante possono essere di aiuto a chi cerca un rimedio per i disturbi del sonno.
Valeriana (Valeriana officinalis)
La parte utilizzata è costituita dalle radici caratterizzate da un odore inconfondibile, pungente che a volte può non essere gradito.
Tradizionalmente è stata usata per i disturbi d’ansia, per alleviare lo stress e combattere l’insonnia. Agisce a livello centrale, ha effetto ansiolitico senza alterare i riflessi ma dosi maggiori hanno azione ipnoinducente: è stato dimostrato infatti che diminuisce il tempo utile per addormentarsi e migliora la qualità del sonno nelle prime ore della notte senza influire sulle successive quindi non provoca sonnolenza al risveglio. E’ molto utile per chi soffre di insonnia da eccessivo lavoro intellettuale.
Si può consigliare per un uso al bisogno anche nelle ore diurne in chi soffre di attacchi di panico, crisi di angoscia, irritabilità e crampi addominali di origine psicosomatica ne.
L’infuso si è dimostrato di aiuto nelle persone che soffrono di emicrania.
Si è dimostrata utile nella disassuefazione nei pazienti dipendenti dai farmaci sedativi del sistema nervoso centrale ma in questi casi l’utilizzo in automedicazione è sconsigliato e va fatto sotto stretto controllo medico. Anche l’uso concomitante di alcool e valeriana è da evitare per il potenziamento dell’effetto sedativo.
Passiflora (Passiflora incarnata)
Il “fiore della passione”: la corolla ricorda infatti i chiodi e la corona della passione di Cristo.
Si utilizzano le parti aeree della pianta che contengono principi attivi che agiscono sugli stessi recettori dei farmaci di sintesi con attività ansiolitica e sedativa.
La pianta ha dimostrato inoltre una buona attività antispastica sulla muscolatura liscia intestinale.
E’ utile per calmare gli stati agitazione nervosa accompagnati da angoscia, palpitazioni, agitazione e insonnia ma anche per alleviare le manifestazioni conseguenti a carico di stomaco e intestino.
E’ indicata inoltre per alleviare i disturbi della menopausa.
I dati clinici sembrano indicare che l’uso della pianta sia sicuro perché non sono stati riportati casi di effetti indesiderati ma in caso di uso prolungato si consiglia di consultare il proprio medico.
Biancospino (Crataegus oxyacantha)
Usata fin dai tempi antichi in medicina popolare come sedativo in particolare quando l’ansia è associata a tachicardia e aumento della pressione: le ricerche cliniche hanno invece dimostrato che la pianta esplica la sua azione soprattutto a livello del sistema cardiocircolatorio modulando i livelli di pressione arteriosa, contrastando i disturbi del ritmo cardiaco aumentando anche l’efficienza del lavoro del cuore.
E’ comunque utile l’associazione del biancospino ad altre piante ad azione puramente sedativa come la valeriana e la passiflora per l’azione sinergica che ne consegue: si favorisce così non solo il rilassamento ma si contrastano anche i sintomi a livello cardiaco quali le palpitazioni che possono esser particolarmente fastidiose e spesso vanno a peggiorare il quadro rendendo difficile l’addormentamento o provocando frequenti risvegli.
Gli effetti collaterali sono lievi (può dare nausea, vertigini, vampate, sudorazione) e tendono a scomparire in breve tempo.
L’uso in associazione ai farmaci utilizzati nelle patologie cardiovascolari è da fare sotto stretto controllo medico perché potrebbe potenziarne l’effetto.
Lavanda (Lavandula spp.)
L’olio essenziale è utilizzato da millenni per massaggi rilassanti, anche vaporizzato nell’ambiente ha dimostrato proprietà rilassanti e sedative. I fiori essiccati si usano per preparare una tisana utile negli stati d’ansia e per migliorare il riposo notturno.
E’ disponibile sul mercato un preparato registrato come “Medicinale tradizionale di origine vegetale” contenente olio essenziale di lavanda indicato per stati di agitazione, irrequietezza, disturbi dell’umore e del sonno. Non è un prodotto di automedicazione, va acquistato su consiglio del farmacista o del proprio medico.
L’olio essenziale di lavanda è largamente utilizzato in cosmetica e profumeria ma va segnalato che può scatenare dermatiti da contatto nei soggetti allergici.
E’ stato evidenziato un suo possibile effetto ormonale di tipo estrogenico ed è stato ipotizzato che possa dare ginecomastia nei giovani maschi che usano shampoo o bagnoschiuma con estratti di lavanda ma non tutti i dati disponibili in letteratura sembrano confermare questa ipotesi quindi rimaniamo in attesa di ulteriori ricerche in merito.
Anche l’olio essenziale di arancio amaro (Citrus aurantium) può essere utile nebulizzato nell’ambiente per le sue proprietà rilassanti.
Alcune piante che troviamo nei preparati per l’insonnia ci derivano dalla tradizione erboristica di altre culture.
Ashwagandha (Withania somnifera) largamente utilizzata nella medicina Ayurvedica per contrastare i disturbi d’ansia, stress, insonnia, proprietà che sono state dimostrate a livello clinico e il cui uso sembra privo di effetti collaterali anche se nei pazienti che assumono farmaci attivi a livello del sistema nervoso centrale l’uso va fatto sotto stretto controllo medico per la possibilità di interazioni o sommazione dell’effetto terapeutico.
La Griffonia (Griffonia simplicifolia) o fagiolo africano è una pianta i cui semi sono ricchi di triptofano un aminoacido precursore della serotonina.
Si è dimostrata utile per contrastare i disturbi dell’umore ma non solo: la serotonina con il calare della luce del sole viene trasformata dal nostro organismo in melatonina, l’ormone che dà il segnale al nostro organismo che “è ora di dormire”: dà quindi innesco a tutti quei processi che ci preparano al riposo notturno.
Supplementare il nostro organismo con i mattoncini che servono per produrre la melatonina piuttosto che fornirgli la sostanza di sintesi è un vantaggio perché non sembra alterare il normale ciclo sonno-veglia. Alcuni soggetti infatti con l’uso della melatonina come tale lamentano difficoltà nel sentirsi subito attivi e pimpanti al risveglio: sembra infatti che venga inibito il naturale picco di cortisolo al mattino, l’ormone che ci dà la spinta per affrontare una nuova giornata con energia.
La pianta è ben tollerata, può dare lievi disturbi gastrici soprattutto agli inizi del trattamento.
Non va associata ad iperico o farmaci serotoninergici in quanto gli effetti tendono a sommarsi e potrebbero dare disturbi anche seri a livello del sistema nervoso centrale.
Altre piante utilizzate per contrastare l’insonnia sono tiglio (Tilia spp.), papavero rosso o rosolaccio (Papaver rhoeas), l’avena (Avena sativa) che ritroviamo in diversi preparati per tisana che ci derivano dalla tradizione popolare.
Una gradevole “tisana per la sera” può essere preparata con una miscela di fiori di Biancospino, Tiglio e Arancio amaro in parti uguali, ha sapore gradevole ed è quindi indicata anche per i bambini.
Da ultimo alcune raccomandazioni.
Donne in gravidanza: gli studi sulla sicurezza delle piante durante il periodo della gestazione sono scarsi e anche difficili da condurre quindi i dati sulla sicurezza d’uso sono spesso carenti: non ricorrere mai all’automedicazione con preparati a base di piante senza prima aver chiesto il parere del proprio medico o di un esperto. Stesso discorso vale per i bambini, limitiamoci a quelle piante e preparati il cui uso è consolidato anche in questa fascia d’età.
Cautela è d’obbligo nel caso in cui si svolgano mansioni lavorative che richiedono particolare attenzione o si conducano macchinari automatici a causa del potenziale effetto sedativo di queste piante che potrebbe potenzialmente portare ad un rallentamento dei riflessi.
Particolare attenzione va fatta anche nel periodo preoperatorio e va informato l’anestesista di qualsiasi integratore sia usato dal paziente perché possa valutarne la potenziale interazione con i farmaci che verranno usati durante l’anestesia.